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Contro l’ecologia e contro la tecnologia

Di Pierleone Porcu, Tratto da articolo “Viaggio nell’occhio del ciclone”, pubblicato su Anarchismo n. 56, marzo 1987

Invece di tracciare un qualsiasi bilancio provvisorio, alla fine della presente analisi, preferiamo aprire un ulteriore campo di riflessione riguardo il ventaglio di problemi legato all’ecologia e alla tecnologia. Ciò perché non è nostro interesse quello di fornire soluzioni a tavolino, quanto di invitare i compagni ad approfondire, insieme a noi, i complessi problemi di un concreto agire insurrezionale, il quale ha bisogno di mezzi e di strumenti più incisivi di quelli che attualmente possediamo.
La riuscita di un progetto di trasformazione radicale della società è legato, in gran parte, all’allargamento delle proprie conoscenze, per cui diventa importante aprire un dibattito.

Sarà poi l’intervento nelle lotte a rivelarci la consistenza e l’incisività di quanto qui sostenuto, come pure gli eventuali errori e i limiti.

Sul problema dell’ecologia e della tecnologia siamo all’inizio di una critica, come lo è tutto il movimento antagonista. Le presenti riflessioni vanno quindi considerate come frammenti di esperienza derivanti dalle diverse situazioni di lotta. Non essendo poi degli specialisti, queste riflessioni non hanno un carattere di incontestabile validità, ma si presentano come abbisognanti di ulteriori e più sostanziali approfondimenti analitici.

La nostra posizione è quella degli esclusi, i quali, fuori da un campo interno di intervento, consapevolmente agiscono e si muovono, dall’esterno, in senso insurrezionalista, contro le logiche di dominio che cercano di razionalizzare gli apparati del potere. Le nostre riflessioni sono dirette ad allargare il fronte della lotta sociale rivoluzionaria.

Sulla base di queste motivazioni di fondo, agitiamo lo spettro del radicale rifiuto di tutte le tecnologie di base e, nel contempo, da un punto di vista rivoluzionario e anarchico, ci preoccupiamo di chiarire i problemi posti dall’ecologia sociale. Il tutto per evitare di ripiegare le nostre prospettive insurrezionali dentro soluzioni “alternative” che, in ultima analisi, aiutano il sistema a liberarsi delle sue contraddizioni.

L’imbroglio ecologico

Nei paesi che si trovano nella fase post-industriale l’ecologia è diventata il fenomeno sociale più rivelante a livello di masse ed anche il più grande affare del secolo per il capitale e gli Stati.

Fuori da ogni mascheratura ideologica di comodo, come pure ogni idilliaca presa di posizione naturalista, bisogna analizzare il significato della lotta ecologica, sia per coloro che la promuovono, sia per lo Stato e il capitale che vogliono conservare i propri interessi di dominio.

Siamo giunti a queste conclusioni soprattutto dopo aver compreso che qualsiasi lotta sociale venga promossa prescindendo dalla distruzione immediata degli attuali rapporti di dominio, finisce per concludersi con un ripristino degli stessi rapporti.

Finora la lotta ecologica ha mirato idealisticamente a far sì che si trovassero soluzioni “alternative”, capaci di riequilibrare il rapporto distruttivo dell’uomo nei riguardi della natura, rompendo così con la logica di uno sviluppo tecnologico votato unicamente al saccheggio e alla devastazione.

Al di là delle giuste aspirazioni degli ecologisti, tutto ciò non è riuscito a mettere in discussione gli attuali rapporti di potere ma, anzi, è tornato utile al potere stesso per presentarsi in una veste più critica e attraente. L’ecologia, separata dalla questione sociale, diventa, per l’organizzazione del potere, una grossa occasione, in quanto su di essa si possono costruire grandi progetti di integrazione sociale sfruttando proprio quel consenso che le masse proletarie mettono a disposizione degli ecologisti.

L’umanitarismo ecologico di coloro che protestano contro il dissennato spreco delle risorse materiali, mentre milioni di uomini muoiono di fame, non intacca gli interessi post-industriali del capitale e degli Stati ma, al contrario, costituisce un incentivo per questi ultimi a migliorare i propri livelli produttivi e organizzativi che spesso risultano arretrati nei riguardi del livello complessivo di sviluppo industriale.

Il capitale è dunque diventato ecologico? Al contrario degli ecologisti noi pensiamo proprio di sì. Infatti, il capitale ricerca attualmente nuove tecnologie che consentano il superamento dello squilibrio ancora esistente all’interno del processo delle materie prime. Tutto ciò viene realizzato attraverso una maggiore razionalizzazione organizzativa dei suoi apparati produttivi. Ciò porta certamente un freno alla distruzione ecologica del pianeta, migliorando lo sfruttamento delle risorse anche grazie allo sviluppo delle tecniche di riciclaggio delle montagne di materiali-rifiuto che giacciono inutilizzate. Nei paesi tecnologicamente più avanzati si è già a livelli notevoli in questa direzione. Da ciò la creazione di un mercato mondiale legato allo sviluppo delle tecnologie morbide ed ecologiche che rappresentano una nuova frontiera per il capitale.

La rivoluzione tecnologica di questi ultimi anni ha favorito i processi di razionalizzazione dello Stato, a prescindere dalle diverse posizioni ideologiche.

Nei paesi industriali avanzati è lo Stato stesso a promuovere grandi campagne di sensibilizzazione verso i problemi ecologici, dato che dallo sviluppo sviluppo dell’industria che promuove strumenti per ridurre l’inquinamento può ricavare i suoi buoni vantaggi. Un altro motivo è che così lo Stato può garantirsi, a livello sociale, una estensione del controllo sulla società, controllo basato sul coinvolgimento di grandi masse che sembrano aver fatto di questo problema il loro unico motivo di impegno sociale.

Lo sviluppo di una tecnologia ecologica diventa per gli stati industriali avanzati un ulteriore mezzo per accrescere la dipendenza di quei paesi economicamente più deboli condizionando la loro via ad un possibile sviluppo. Da ciò la necessità, per tutti gli Stati e per il capitale internazionale, di finanziare i programmi ecologici, investendo miliardi di dollari.

In Italia lo Stato sostiene – come altrove – le campagne ecologiche, anzi ha creato una vera e propria cultura istituzionale ecologica, presente persino nelle scuole, dove esistono corsi specifici su questo argomento. A sostenere questo progetto sono gli uomini politici più progressisti e sensibili, che non mancano occasione di ripeterci il loro impegno e la dura battaglia parlamentare che conducono contro i conservatori e le loro vecchie logiche di potere fondate solo sul saccheggio sistematico della natura.

A dare una mano al capitale e allo Stato, nell’attuazione dei progetti ecologici, ci sono i verdi, gli ambientalisti, i quali alle rituali proteste contro la devastazione dell’ambiente uniscono proposte costruttive basate su “soluzioni alternative”. In questo modo recitano il ruolo degli oppositori propositivi al sistema, non accorgendosi di essere in questo modo gli elementi compartecipi del suo sviluppo. La loro azione è funzionale al dominio. Pur presentandosi camuffata da alti valori sociali, essa tende sempre al recupero politico delle frange dell’opposizione antistituzionale.

I verdi vorrebbero dare al dominio un volto umano, quindi credono giusto farsi finanziare nei loro progetti dallo Stato o da quelle stesse strutture che stanno devastando la natura. Adesso cercano di entrare a far parte degli enti locali e in questo modo contribuiscono a far sì che lo Stato estenda il proprio dominio anche nelle zone più periferiche.

A chi può mai interessare di fare propria una prospettiva del genere, diretta a fare abbandonare al capitale il suo insensato sviluppo verso le cosiddette tecnologie dure, sostituendole con quelle morbide ed ecologiche, se non a coloro che vogliono conservare, in prospettiva, questo sistema sociale?

A noi non interessa che il capitale persegua un determinato sviluppo, né duro né morbido, ma semplicemente interessa distruggerlo come sistema, assieme agli apparati statali che, in ogni parte del mondo, lo sostengono.

Lo spettacolo ecologista cerca di inchiodarci per sempre alla sopravvivenza, facendoci compartecipi del sistema di morte. È con supina rassegnazione che lo subiamo ogni giorno quando promuoviamo battaglie ecologiche contro l’imminente morte del pianeta.

Non si tratta di una contraddizione, ma dello specchio reale di quello che con tali lotte sosteniamo, quando, per non morire più in fretta, non ricerchiamo altro che ragionevoli moventi di lotta sociale che ci portano a non fare precipitare la situazione e quindi lasciano le cose come stanno.

Occorre, al contrario, fare qualcosa di più. La rottura violenta con l’ordine costituito è per noi una necessità vitale. In questo senso proponiamo di impostare anche la lotta ecologista su basi insurrezionali.

L’ecologia è importante per noi solo se colta dentro un radicale processo di trasformazione sociale in quanto, solo così, essa può costituire un ulteriore elemento su cui spingere per accelerare la fine di questa società del dominio.

Abbiamo quindi due strade: la prima parte dalla distruzione dei rapporti di potere per giungere ad una società libera, egualitaria ed ecologica; la seconda si limita soltanto a volere salvare il pianeta dalla distruzione totale. Scegliendo la prima strada troveremo sempre dei compagni che non mancheranno di appoggiare le nostre iniziative, scegliendo la seconda questi compagni ci sceglieranno come loro nemici.

Siamo anche noi per l’ecologia e contro l’inquinamento a tutti i livelli, solo che vediamo il realizzarsi di una lotta ecologica come inserito nella sovversione sociale e totale di tutti i rapporti e i valori dominanti su cui si regge il sistema. Vogliamo essere noi i padroni del nostro destino di uomini liberi e consideriamo negativo lasciare questo compito agli specialisti del potere. Figurarsi poi se vogliamo delegarla a qualcuno la questione ecologica.

La necessità di distruggere la tecnologia

Di fronte ad una prospettiva che si basa sulla necessità di distruggere totalmente la tecnologia, molti compagni rimangono perplessi, e razionalmente si rifiutano di accettarla, dato che trovano più ragionevole e realistico porsi solo il problema di distruggere le cosiddette tecnologie dure, meglio conosciute come produzioni di morte (nucleare, armamenti di ogni specie, amianto, ecc.), salvaguardando invece tutte le altre, considerate morbide (elettronica, micro-elettronica, informatica, ecc.) perché ritenute socialmente utili, pensando, in questo modo, di poterne fare nel futuro un uso rivoluzionario. Cioè come se queste ultime fossero, al contrario delle prime, totalmente sganciabili dalla logica di potere che le ha prodotte e sviluppate.

Questi compagni assumono così, nei confronti della scienza, il classico atteggiamento illuministico-positivista, che si basa sulla pretesa neutralità degli strumenti prodotti dal sapere tecnico-scientifico, per cui criticano solo il cattivo uso sociale che il potere fa di queste tecnologie, impiegate solo a scopi di dominio totale sulla società.

Noi invece pensiamo che gli strumenti creati dal potere, al di là degli apparenti vantaggi che possono apportare qualche volta alla società, non possono che ubbidire esclusivamente alla logica che li ha creati, ed essere quindi totalmente funzionali al raggiungimento dei suoi fini, indipendentemente da chi li impiega.

Noi siamo contro chi cerca di giustificare sempre tutto, dicendo che, in fondo ad ogni cosa che questo sistema di morte produce, ci sia un residuo di buono che merita di essere preservato dalla distruzione. Inoltre, siamo dell’opinione che sia utile insinuare dubbi nella marea di certezze e di luoghi comuni che sono in circolazione. Nei problemi che trattiamo tendiamo sempre ad avere una visione di insieme che lasci spazio ad una indeterminazione critica. In questo modo corriamo dei rischi in quanto ci esponiamo a critiche feroci quando commettiamo degli errori. Infatti, chi si pone in senso diverso da quello usualmente accettato, passa spesso per criminale, provocatore o, nella migliore delle ipotesi, per persona irresponsabile, rischiando così il linciaggio da parte dei buoni pensatori domestici che ingombrano il nostro movimento. Costoro non mancano mai di mettere in guardia i compagni con cui entriamo in contatto. Vige così un ceto terrorismo intellettuale che non è stato fatto proprio solo da chi domina, ma anche da chi è vittima dei propri pregiudizi e dei propri fantasmi personali, mentre dovrebbe liberarsi del dominio più con fatti concreti che a parole.

Chi indica l’indiscutibile necessità delle attuali tecnologie sono i padroni, i governanti e il numeroso stuolo dei servitori. Tutti costoro hanno senza dubbio buoni motivi per far ciò. I compagni, invece, dovrebbero avere altrettanti buoni motivi per diffidare, sempre, di simili indicazioni. La cosa tragica è che spesso assistiamo ad una notevole identità di vedute tra il potere e chi lo combatte.

Tutto il bagaglio di tecnologie di base oggi impiegato in tutti i campi del vivere sociale, proviene invece dalla ricerca militare. Il suo uso civile ubbidisce a questa logica molto più di quanto non possiamo capire immediatamente. Infatti, tutto quello che siamo riusciti ad evidenziare è stata la messa in pratica di un preciso e scientifico progetto autoritario gerarchico nel modo di organizzarsi, mentre sarebbe stato più importante capire i meccanismi inconsci che a livello di massa consentono al potere di superare l’immediato rifiuto iniziale, da parte della gente, per arrivare, poi, ad un vero e proprio sostegno.

Il comando cibernetico è contestato da pochi, anzi la tendenza generale è quella della inevitabile accettazione. Cosa questa che porta a considerarlo indispensabile e quindi socialmente utile.

Chi indica le ragioni di una totale distruzione degli apparati tecnologici prodotti dal capitale, passa per un irrazionale ed irresponsabile che vorrebbe portare la civiltà indietro fino all’età della pietra.

Ma, riflettendo, ci accorgiamo dell’infondatezza di queste affermazioni che fanno il gioco di coloro che sostengono le logiche del dominio. La tecnologia attuale è, in realtà, il risultato pratico di una forma di conoscenza maturata nel corso dello sviluppo industriale dei processi produttivi del capitale. Essa non è costituita da un bagaglio di pratiche applicate in forma neutrale alla struttura sociale, dato che a motivarla è pur sempre la logica di potere di coloro che sostengono lo sviluppo della società. La preoccupazione di salvaguardare alcune tecnologie rispetto ad altre diventa un modo preciso per ostacolare il processo di distruzione totale dell’intero assetto produttivo del dominio. In più, porta, fin da adesso, a porre limiti alla propria azione rivoluzionaria, oltre ad intrattenere un rapporto sociale ambiguo con le strutture del dominio.

Quindi, coloro che, pur affermando di essere rivoluzionari, sostengono la necessità di salvaguardare una parte della tecnologia prodotta dal capitale, non vedendo che in questa posizione danno una mano ai riformisti dichiarati, i quali, più coerentemente, sostengono una modificazione continua di tutti gli organismi del potere in modo che il sistema risulti sempre funzionale ed aderente alle nuove esigenze di dominio e ai cambiamenti della società.

Il nostro progetto radicale e totale di distruzione della tecnologia dovrà certo calarsi all’interno del processo rivoluzionario ma, fin da adesso, manifesta il fatto positivo di non porre alcun limite a priori al corso dello stesso processo rivoluzionario, né di ipotecarlo all’interno delle nostre attualmente limitate conoscenze.

Con ciò vogliamo evitare il cadere nel pregiudizio che per risolvere i problemi di una rivoluzione sociale contemporanea basti il semplice ricorso al bagaglio di conoscenze attualmente acquisito. Siamo contro coloro che manifestano una rassicurante certezza del genere considerando conclusive le attuali conoscenze.

Per come stanno adesso le cose, i cosiddetti scienziati che studiano l’intelligenza artificiale o, più genericamente, l’applicazione delle attuali tecnologie ad altri campi del sapere, in realtà sono operai della scienza. Possiedono una altissima specializzazione in un dato campo scientifico, ma la maggior parte di loro, ignora cosa succede negli altri settori della ricerca, per non parlare della realtà sociale che spesso trascurano completamente vivendo nel clima asettico ed ovattato dei loro laboratori.

Non dobbiamo dimenticare che i ragionamenti di questi operai della scienza somigliano molto alle macchine che progettano, dato che applicano la logica binaria e sono sostanzialmente incapaci di pensare al di fuori di questo schema. Non sono ragionamenti creativi, non posso apportare alcuno sviluppo del pensiero in nessun campo del sapere. Solo la nostra ignoranza ce li fa considerare come cervelloni. Argomento che andrebbe approfondito per rendersi conto del fatto che costoro costituiscono la nuova classe intermedia prodotta dalla rivoluzione tecnologica.

Il nostro spingere verso un rifiuto conoscitivo dell’intero bagaglio tecnologico è un modo concreto di porsi il problema di ostacolare lo sviluppo produttivo del capitale.

La nostra ricerca di un radicale cambiamento sociale ci ha fatto riflettere sul fatto che, anche in campo scientifico, le più grandi scoperte l’uomo le ha fatte proprio nel momento in cui il principio di autorità è risultato assente o vacillante a tutti i livelli nella società costituita, come è accaduto al principio di questo secolo. Non si può essere rivoluzionari solo in rapporto ad una data struttura sociale che non si accetta, ma bisogna esserlo in tutti i campi, compreso quello scientifico, visto che il compito che si vuole assolvere è quello della radicale distruzione dell’ordine dominante che ha radici ovunque e, di conseguenza, va attaccato ovunque.

Il solo atteggiamento da tenere nei riguardi dei padroni della scienza, è quello di scorgere, in prospettiva, cosa nascondono dietro le cose più innocuo ed umanitarie che, di volta in volta, presentano al grande pubblico di profani che si limita ad ascoltare stupefatto,

Questo riveste per noi una grande importanza, dato che siamo abituati quasi sempre ad accorgerci solo delle cose più vistose e superficiali che ci circondano. I padroni, i governanti e i loro servitori si preoccupano molto di farci evidenziare certe cose, quel tanto che basta per catturare la nostra innata curiosità, spingendoci a guardare verso tutto quello che, in realtà, non riveste concreta importanza. In questo modo ci fanno tralasciare le cose più importanti che vanno poi realizzate a nostra insaputa, sulla nostra pelle.

Non dobbiamo sottovalutare l’intelligenza del nemico, se no si finisce per andare incontro ad amare disillusioni, come è accaduto in un recente passato. Lo scopo di chi domina è quello di impiegare tutti gli strumenti che l’attuale conoscenza scientifica offre, non certo per liberare o alleviare le sofferenze dell’umanità, ma per farla continuare a soggiacere dentro gli attuali rapporti di dominazione che, di volta in volta, vengono modificati. Il capitale e lo Stato si trovano costretti a questa incessante modificazione proprio a seguito delle lotte che i proletari sostengono giornalmente contro di loro. Comunque, nonostante le grandi ricchezze che vengono devolute ogni giorno in questo attacco contro i proletari, la cosa è sempre più difficile e problematica, perché, in fondo, basta poco a chi si rivolta per mandare a catafascio tutti i progetti di una gestione indolore del dominio.

I rivoluzionari partono da questo impercettibile vantaggio nell’attaccare il capitale e lo Stato, una volta però che manifestano l’intenzione di volerli distruggere radicalmente, sulle basi di una lotta sociale globale la quale, per sua natura, non riconosce alcun limite, né tende, né vuole concedere al nemico alcuna tregua. Qui stanno racchiuse le ragioni rivoluzionarie del perché bisogna distruggere l’intero apparato tecnologico, al di là dell’uso che molti pensano di farne in futuro. Tutto questo per evitare che la lotta sociale rivoluzionaria cada nella trappola tesa dai radical-riformisti, i quali, della distruzione parziale delle strutture del dominio, hanno fatto il punto di partenza della ristrutturazione.

Siamo quindi contro coloro che sostengono la critica politica, anche nel campo della scienza, poiché tale critica cerca sempre di ridurre le ragioni di un’opposizione radicale ad una semplice questione di dettaglio riguardante certe scelte operative. Così facendo, i sostenitori della critica politica, cercano un atteggiamento e un accordo col nemico di classe che si dimostra intelligentemente disposto a modificare formalmente la propria posizione, e ciò allo scopo di ricostruire un nuovo e più razionale consenso attorno alle istituzioni minacciate.

Nessun feticcio deve albergare nelle nostre menti. Se abbiamo avuto la forza di costruirci mille catene, possiamo avere anche quella di spezzarle. Dipende da noi e dalla convinzione che avremo di spingerci coerentemente oltre le barriere dei pregiudizi e dei tabù, costituiti a tutti i livelli.

Il movimento di autoemancipazione proletaria è all’inizio di questa affascinante ricerca di libertà totale, e gli anarchici rivoluzionari sono chiamati a dare a questa ricerca un proprio contributo qualitativo.

L’autoliberazione sociale di ciascuno e di tutti non si improvvisa. Essa è il frutto doloroso di migliaia di sforzi ed errori fatti in questa direzione.

I veri ecologisti sono i distruttori della tecnologia, perché, al di là di quello che sono le convenzioni sociali accettate da tutti, avanzano dubbi, attentando alla comodità e alla tranquillità raggiunta dai rassegnati, creando nuovi problemi invece di accontentarsi di accettare soluzioni, indicando nuovi orizzonti di libertà effettiva invece di subire l’inferno della sopravvivenza che attanaglia tutti.

Il presente lavoro vuole essere un modesto contributo in questa direzione, convinti che la rivoluzione sociale, l’Anarchia, non sono sogni così lontani, ma si possono realizzare qui, nel presente. Bisogna però avere la forza di praticare il disordine dei propri sogni, guardando con occhi diversi dall’usuale quel che accade nella realtà, disposti sempre a battersi a mai subire passivamente con rassegnazione.

L’ottusità dell’essere sempre disposti a ricominciare sta nelle ragioni di chi non ha mai smesso di farlo, nemmeno nei momenti più bui, cosciente che senza sogni da realizzare o avventure esistenziali da percorrere, da solo o insieme ad altri, non si riuscirebbe a vivere ma solo a vegetare.

Gli uomini mediocri non hanno mai nulla da chiedersi, come non hanno nulla da dirsi, al di fuori di quelle che sono le banalità di una vita spesa al supermarket della miseria che inchioda alla sopravvivenza. Il loro quieto vivere, al caldo delle quattro mura domestiche, è in fondo la più tranquilla e sicura delle prigioni.