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Contro la scienza

Di Luigi Ferraro, Tratto da “Anarchismo”, n. 6, 1975

Lungi dal voler essere un discorso esauriente sul problema, il presente scritto desidera proporre un tentativo di analisi sulla natura e sul ruolo di quella realtà vasta e molteplice che si definisce comunemente con il termine « scienza ».

« Scienza » è sempre stato sinonimo di progresso ed è forse per questo che qualsiasi tentativo di radicalizzare la critica ha sempre dovuto difendersi dall’accusa di muoversi nell’ambito della reazione. Tutto ciò è probabilmente giusto, non è possibile infatti sottrarsi a tale sospetto nel momento in cui ci si affianca, pur dall’interno di opposte premesse ideologiche, all’ostruzionismo pratico e teorico, esplicito od implicito, con cui le diverse forme di assolutismo hanno contrastato l’affermarsi e l’evolversi, appunto, della scienza. Al contrario però bisogna riconoscere che può risultare enormemente utile, a chi desideri usufruire di nuovi strumenti di potere, l’esistenza di una realtà indiscutibile e, per di più, indiscutibile in nome del « progresso »; è proprio per questo che è importante avere il coraggio di uscire dalla paura di polemizzare con ciò cui tradizialmente polemizza la reazione, ma è altrettanto importante, a questo scopo, non accettare i termini della questione così come di solito vengono posti. Quando poi succede, come nell’epoca attuale sembra succedere, che potere e « rivoluzione » si incontrano, con le ovvie ma insufficienti differenzazioni, nel riconoscimento della validità incontestabile della « scienza », si rende indispensabile operare una netta chiarificazione su ogni eventuale complicità teorica in cui si fosse inconsapevolmente caduti.

Le cause lontane della posizione occupata dalla scienza all’interno delle diverse ideologie e, per quanto qui interessa, all’interno del vasto orizzonte ideologico compreso tra marxismo e anarchismo, sono forse da ricercare nell’antico ed irriducibile contrasto tra materialismo ed idealismo, in ciò che questo contrasto ha necessariamente significato sul terreno della prassi e soprattutto nel ruolo di determinante opposizione all’idealismo ed alle sue implicazioni svolto dal pensiero scientifico occidentale.

Sarebbe qui inopportuno descrivere i diversi metodi e le diverse filosofie in cui ha preso forma l’idealismo. Basti dire, semplificando al massimo, che tale impostazione di pensiero si è sempre posta difronte alla realtà come se questa non fosse che « altra » rispetto alla realtà vera, sostanziale, la cui essenza, spirito o pensiero, sarebbe di natura ideale. Inutile dire quanta poca importanza avessero ed abbiano, alla luce di tale concezione, le sofferenze concrete e le altrettanto concrete aspirazioni alla libertà di milioni di esistenze oppresse e sfruttate, quanto giovi tale filosofia alla società repressiva e violenta da cui nasce.

L’esistenza del singolo individuo, il suo particolare ruolo, la stessa realtà empirica, sono nulla, o meglio, sono il processo necessario attraverso cui l’anima si libera dai lacci della materia (Platone), l’assoluto prende coscienza di sé (Hegel), ecc.

Il realismo, al contrario, considerando che trascende sia la volontà delle singole creature, sia la loro possibilità di conoscere totalmente i fini cui sono destinate, ma alla cui realizzazione pure devono in qualche modo contribuire. La filosofia idealista poggia dunque sugli stessi presupposti su cui poggia la religione: si può anzi affermare, in ultima analisi, che ne è la trasposizione sul piano filosofico.

Categoria costitutive di questo modo di concepire il tutto è poi l’affermazione dell’esistenza di una finalità, nel tutto, esistente proprio e soltando quella realtà negata dall’idealismo, favorisce il sorgere di un ben diverso atteggiamento; per esso l’essenza della realtà non è che la realtà stessa e tutto ciò che l’uomo desidera studiare e mutare è risolvibile unicamente all’interno dei suoi concreti rapporti con essa. Il pensiero scientifico nasce proprio nell’ambito di quest’ultima interpretazione delle cose ed il suo presupposto minimo è la certezza di poter stabilire in particolar modo attraverso l’esperienza, rapporti soddisfacenti con la realtà.

Dall’Europa del settecento, per rifarsi un attimo alla storia del pensiero, nasce e si diffonde la sfida più feroce che sia mai stata lanciata alla metafisica: è la sfida dell’Illuminismo, della ragione, della scienza. Proprio per questo la « nuova fiducia nella scienza » e ciò in cui più tardi, nel Positivismo, tale fiducia prenderà corpo, pervaderä di sé le dottrine più avanzate dell’ottocento. Basti pensare, in proposito, agli elementi di positivismo presenti nelle teorie marxiana e marxiste, all’influenza più o meno implicita di questi elementi sulle più note dottrine anarchiche. È dunque questa scienza che, grazie al suo oggettivo ruolo di opposizione alle speculazioni metafisiche, ha avuto modo di guadagnarsi un posto d’onore all’interno delle già citate ideologie.

Ben lontano dal sottovalutare le profonde differenze esistenti tra pensiero marxista e anarchico, lontano dal sottovalutare infine la diversità qualitativa e quantitativa, della posizione occupata dalla « scienza » nei rispettivi pensieri, è a questo punto necessario chiedersi quanto questo ruolo sia meritato; è importante soprattutto domandarsi se e quali rischi abbia comportato e comporti non chiarificare sufficientemente la sua funzione e la sua natura. Di una scienza si tratta infatti e non della « scienza ». Non esiste « la » scienza, così come non esiste « la » dottrina politica, così come non esiste « la » ideologia: il chiarimento potrebbe cominciare proprio da qui.

« La scienza… mentre indica nelle leggi naturali il limite dell’arbitrio umano, accresce la libertà effettiva dell’uomo dandogli modo di volgere quelle leggi a proprio vantaggio. Essa è uguale per tutti e serve indifferentemente per il bene e per il male, per la liberazione e per l’oppressione ». Se lo stesso Malatesta, in « Pensiero e Volontà », ha potuto fare questa affermazione è anche e principalmente perché non è stato chiarito a sufficienza il problema. Né la scienza è infatti una realtà unitaria, né tantomeno la biologia, la medicina, la chimica, la fisica, le tradizionali branche scientifiche insomma, compongono la sola scienza possibile e l’unica vera. Nella storia delle scienze non c’è unitarietà, si assiste anzi, nelle diverse epoche, al sorgere di differenti contenuti e metodologie nient’affatto conseguenti gli uni agli altri. Il galenismo, ad esempio, era medicina così come medicina era quella ippocratica, ma non si tratta né della stessa medicina, né di medicine conseguenti: sono stati modi diversi di porsi difronte al problema della salute e della malattia e modi altrettanto diversi di definire entrambe. E ancora, mentre nell’occidente europeo si sviluppavano determinate scienze basate su metodi e contenuti determinati, in Asia così come nelle Americhe esistevano metodi e contenuti affatto diversi ed altrettanto funzionali. Difronte al problema c’è insomma un profondo equivoco che si risolve a tutto svantaggio della possibilità di un discorso chiaro.

Di solito, quando si parla di scienza, si ha presente l’ambito dell’attuale ricerca scientifica ufficiale occidentale; ma quando meno genericamente, dall’interno di una ben precisa ideologia, ci si appella alla sua assoluta validità in opposizione agli atteggiamenti dogmatici, acritici, liberticidi della conservazione e della reazione, è ancora possibile che le cose stiano così? È un fatto incontestabile che, qualora stiano così, si difendono, per citare gli esempi più noti, gli esperimenti « scientifici » dei campi di concentramento nazisti, le bombe su Hiroscima, i congegni per la tortura dei genitali di importazione U.S.A., la sperimentazione sui malati, i farmaci a base di veleni, le sanguinarie ricerche di laboratorio condotte slgi animali, la « scienza psichiatrica » con i suoi parametri, i suoi metodi, i suoi scopi. Inutile dire, a questo punto che si difendono i risultati e non i mezzi usati per ottenerli. Sono i mezzi a determinare i risultati ed il risultato ha in sé tutti i mezzi che sono stati utili al suo conseguimento: in un certo senso è prodotto ed espressione di questi mezzi. Tutto ciò dovrebbe essere scontato a meno che non si voglia operare, arbitrariamente, un incolmabile scissione all’interno della realtà, a meno che non si voglia affermare che è il fine a giustificare i mezzi; un marxista o, a maggior ragione, un anarchico, queste cose non possono affermarle.

Se si dice che la scienza è uno strumento indifferente si apre il campo ad un valore assoluto, si ignora che la scienza non è altro che cultura, cioè prodotto umano socialmente, politicamente, economicamente e storicamente condizionato; se poi a questo si oppone che la natura, cioè il suo oggetto, è un fatto esterno a questi condizionamenti, si ignora che la ricerca scientifica non è la natura ma lo studio dei rapporti con essa ed all’interno di essa, si ignora, in una parola, il problema della conoscenza.

E questo purtroppo non è un discorso accademico, qui non si cavilla su un termine, si indicano i pericoli pratici, concreti, di un assoluto. Se si parla del problema gnoseologico non lo si fa in nome di un dibattito erudito, ma in nome della precisa volontà di metterne in evidenza le implicazioni politiche.

Non si può non aver presente che la conoscenza, è necessario ripeterlo, è una realtà sociale. Eppure si continua a difendere la natura indifferente della scienza. Se un’affermazione del genere, all’inizio del secolo, poteva essere in qualche modo giustificata, ora risulta davvero imperdonabile. La scienza ha ampiamente dimostrato la sua natura parziale e non soltanto per quanto concerne l’uso. Ben lontano dall’esistere come « verità oggettiva », la conoscenza scientifica non ha mai fatto altro, né mai potrebbe far altro, che intendere nelle cose determinati rapporti in base a ben precisi parametri culturali; quasi sempre ha fatto di più però, ha preteso di essere la realtà stessa. Non ha mai confessato che la sua reale funzione è quella di organizzare, per renderla intellegibile, una realtà che probabilmente non è affatto organizzata; ha sempre detto, al contrario, che il suo scopo è quello di decifrare una organizzazione che è li, imperiosa, totale (non importa se statica o dinamica), mutabile certo, ma nei modi e nei termini indicati da quelle leggi che soltanto essa individua e che, in quanto leggi reali, non possono essere rifiutate. Una scienza che si definisce conoscenza della realtà in quanto tale ha il diritto di essere indiscutibile e, indiscutibilmente, ha il dovere-diritto di presiedere ogni attività umana; essa sola può indicare e fornire i mezzi atti a trasformare la realtà, come si fa dunque ad inferire la sua indifferenza?

La scienza che si dichiara studio obbiettivo del fatto, processo conoscitivo che trova in sé la propria metodologia ed i propri contenuti, non è liberata dai lacci dei condizionamenti esterni, al contrario, nell’ambito di un totale asservimento a delle precise e nient’affatto necessarie leggi economiche, sostiene dei valori che nulla hanno a che fare col progresso. Il nuovo dominio scientifico e tecnocratico, sostituendo al ricatto dello spirito, adoperato con destrezza da un’oppressione clericale ormai in declino, il ricatto ben più violento nei confronti del corpo, se ne infischia altamente dei nostri cancri, delle nostre trombosi, dei nostri infarti, né più né meno di quanto si disinteressi del gas che respiriamo, del putridume che bagna le nostre coste, dei veleni di cui si gonfia il popolo dei così detti paesi « opulenti » e della fame che patisce quello dei paesi sottosviluppati. Ma dove comincia la schizofrenia della nostra scienza? Non davvero, semplicisticamente, nel cattivo uso che viene fatto di risultati « in sé » validi, poiché sappiamo bene, anche senza scomodare approcci filosofici che risulterebbero addirittura superflui, che di « in sé » valido non c’è proprio niente, ma che si tratta di stabilirlo noi, insieme, il criterio di ogni valore. Da dove deriva allora questa assolutizzazione di valori che sembrava fosse stata presa sufficientemente a bastonate da certi trionfi della ragione e rifà invece capolino proprio da quei trionfi?

Per far accettare a larghi strati di uomini il furto della propria terra, dei propri figli, dei propri animali, dei propri corpi infine, era indispensabile operare una radicale separazione all’interno dello stesso individuo, scindere cioè l’individuo dal proprio corpo, dalla facoltà di decidere della propria realtà materiale. Soltanto in questo modo, sentendosi profondamenti diverso da essa, l’uomo ha potuto accettare l’oltraggio ininterrotto perpetrato da sempre nei confronti di tutto ciò che lo circonda, divenire egli stesso insieme soggetto ed oggetto di questa furia distruttrice che si rivolge, anche e soprattutto, contro se stesso. La separazione tra un sé astratto ed il proprio corpo continua allora con la separazione tra il corpo e chi lo conosce e se ne occupa.

Quando la scienza si definisce obbiettiva cerca di recuperare la credibilità di chi comanda, non la realtà; prendendo in consegna la materia infatti, affermando di non interessarsi d’altro e rifiutando dispoticamente ogni controllo collettivo sul proprio contenuto, sui propri fini, sui propri metodi, sul proprio operato, tradisce la sua vera natura: essa non fa altro che ratificare l’isolamento della realtà da tutto ciò da cui è sempre stato fruttuoso isolarla. Gli scienziati mentono quando dicono di rifiutare ogni controllo per amore di libertà, essi rifiutano in realtà solamente quel controllo che non provenga dal potere che li gestisce e di cui partecipano in misura sempre maggiore.

Per riportarci allora al discorso iniziale, se si vogliono chiarire a fondo i motivi della convergenza che attuale potere e sinistra rivoluzionaria sembrano trovare in merito alla « scienza », è indispensabile tener conto di quanto è finora emerso; soltanto partendo da una totale revisione di termini e contenuti – sembra sufficientemente dimostrato che ciò che si propone non è una questione puramente nominale – e soltanto rivedendo certe posizioni di principio fondamentalmente acritiche su tutto ciò che si definisce scienza, si può salvare il risultato realmente ed inconfutabilmente rivoluzionario dello « spirito scientifico »; solo così se ne possono comprendere la portata ed i reali « pericoli » che tradizionalmenteogni forma di dominio vi ha giustamente ravvisato.

Spirito scientifico come consapevolezza della necessità e possibilità di costruire collettivamente precisi rapporti con la realtà, come visione continua delle diverse componenti del reale, come corretta definizione del rapporto mezzi-fini (rapporto di profonda unità, dove il controllo di massa sul mezzo è necessario e possibile come lo è sul fine), come negazione di qualsiasi verità assoluta data in nome dell’obbiettività (la verità oggettiva delle leggi natura) o della soggettività (il potere assoluto del pensiero e della volontà): tale atteggiamento non è né potrebbe mai essere, « indifferente ». In questo caso non ci sono possibilità di convergenze e ciò dovrebbe bastare ad indicare l’urgenza e gli immediati coinvolgimenti politici del problema sollevato.